ITA - Val Susa
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- Scritto da Valerio Santagostino (BALBOA)
Photos: Valerio “BALBOA” Santagostino, “Lady Balboa”, Paolo Marocco.
Foto di chiusura: Alo Belluscio
Tempo di lettura: 20 MINUTI

Voglio sperare che abbia fermato il cavallo, almeno qualche minuto, per ammirarla e sorseggiare le fresche acque della Ripa.
Chissà che fuggi fuggi di marmotte, i simpatici roditori di cui la valle è piena, alla vista di 40.000 soldatacci sudati e sguaiatamente rumorosi!
Dopo aver fischiato a pieni polmoni avranno guadagnato immediatamente le loro tane sicure, mentre i grandi ungulati, da sempre la fonte principale di sostentamento degli eserciti in marcia si saranno dati alla fuga a gambe levate arrampicandosi su picchi irraggiungibili dai pallettoni degli archibugi o dai dardi delle balestre.
Aveva solamente vent’anni, il giovane re, ma questo non gli impedì di rifilare ai miei concittadini e agli svizzeri una terribile batosta.
Di questo trionfo di gioventù non si stancò mai di vantarsi anzi si racconta che, nel pomeriggio stesso, per festeggiare la vittoria, abbia giocato “a palla”, una sorta di calcio antidiluviano molto in voga all’epoca e del quale era un ottimo giocatore.
Solamente l’idea che quella partita può essere considerata il primo “derby milanese” mi allevia il ricordo dell’orrenda disfatta.
Per la cronaca, dopo esattamente dieci anni, il Ducato di Milano si vendicò del “ Roi-Chevalier” (il Re Cavaliere), sconfiggendolo nella battaglia di Pavia, nella quale fu fatto anche prigioniero.
Sito di interesse comunitario (SIC), la valle, che fa parte delle Alpi Cozie, è solcata dalla Ripa e da uno sterrato percorribile comodamente in automobile. Strada che inizia, idealmente, dalla sbarra di entrata al parco per il quale si paga, giustamente, un modesto obolo di cinque euro per il mantenimento della stessa e si riceve un paio di sacchetti per portare a valle i propri rifiuti, scambio che ho molto apprezzato.
Ora, al posto dei nascondigli segreti e delle fortificazioni, oramai diroccate, sorgono alpeggi e piccoli caseifici che fanno felici i palati dei turisti, solitamente provenienti dalle città, e di conseguenza ignari del vero sapore del burro e dei formaggi artigianali.
Prestate attenzione solamente alle zone di bandita, segnalate comunque con cartelli appesi ai pini cembri.
Qui la Ripa presenta delle buche nelle quali è suggerito l’utilizzo della ninfa, soprattutto sotto i muraglioni di contenimento della provinciale.

Tripudio famigliare! Anche la mia grande ha preso la sua prima trota!

Se scendete fino al primo ponte della provinciale, che delimita i confini a monte del no-kill, potete pescare un pezzo, a mio avviso, molto interessante di “libero”.
Lo stretch presenta numerose situazioni alle quali è meglio adattarsi immediatamente per avere successo.
Lame da secca, raschi da moschette, buche da ninfa, acquette da palline in brass o da sommersa, insomma, non vi potete annoiare di sicuro.
Un suggerimento: pescate dove meno vi aspettereste di trovare un pesce. Sarà magari piccolo, ma insistete, perché c’è!

Michael Menardo, salito in valle per un piacevole pomeriggio di pesca insieme.
Alle porte di Cesana Torinese, arrivando da valle, appena prima del tratto cittadino di bandita, la Ripa riceve le acque della piccola Dora, provenienti dal passo del Monginevro e da questa fresca unione nasce la Dora Riparia.
Il tratto è corto e molto infrascato, ma al contempo l’acqua non scarseggia, costringendo spesso a fare delle deviazioni sulle sponde per pescarla.
I pesci non sono mancati e direi, per essere “libero”, di dimensioni più che onorevoli.
Mi sono fermato al primo salto d’acqua, in prossimità di una centrale, ma Paolo, una sera al tramonto, è andato oltre, addentrandosi nelle gole di San Gervasio, sotto il ponte tibetano di Claviere, il più lungo del mondo, guadagnando qualche salmerino.
Ho parcheggiato nello spazio antistante la Pizzeria La Moretta e mi sono calato nel bosco raggiungendo il fiume, non senza qualche difficoltà.
Come ultima chance, sconsolato, mi sono dedicato anche a quei ravini paralleli all’asta principale del fiume, che fungono da hatchery per le piccole trotelle, ma il risultato è stato il medesimo...Peccato

Risalendo in valle, ho posato due pomeriggi piume e biglie nelle acque della Dora all’altezza di Fenils, una manciata di case sul fondo di un valloncello che scende dal monte Chaberton. Questo tratto di fiume ha subìto un duro insulto dall’alluvione dell’anno scorso, e i segni sono visibili!
Come le unghiate delle benne per cercare di riportare le acque nel loro corso naturale.
Pur auto-convincendomi di aver pescato bene, ho catturato solo una trota, selvatica, e ironia della sorte, la più lunga dell’intera vacanza, ben 31 centimetri!

Torrente classico di montagna, va affrontato nascosti, a secca o a ninfetta, come si preferisce.
Il Thuras (a dx) sfocia nel no-kill della Ripa
Little Balboa insegna alla sorella maggiore
Beh...forse Battisti per quelli della mia generazione...perché i miei figli è meglio che non mi sentano, preferendo senz’altro quei ragli incomprensibili dei rapper moderni...

Papà, montami una cavalletta per favore...

Tacccc...

Se invece non ve la sentite di dormire con le marmotte, nella discesa, fermatevi alla trattoria ‘L Fouie.... Ne vale la pena.
Me l’aveva fatta conoscere in precedenza il mio amico Ciccio Mautino, valente pescatore e maestro di sci di Bardonecchia e, devo dire, mai segnalazione è stata più apprezzata.
A Rochemolles, ad Agosto, c’è un bel mercatino dell’artigianato in contemporanea a un gustoso percorso eno-gastronomico che si sviluppa nelle viuzze della piccola borgata: quindi, controllate bene le date e non mancate una visita se siete da quelle parti.
Se invece decidete di scollinare in Francia attraverso il passo del Monginevro seguite la segnaletica per Briançon dove, finiti i tornanti che affronterete nella discesa, troverete sulla destra le indicazioni per la Val Clarée, solcata dal torrente omonimo, famosa vallata transalpina molto simile per conformazione alle nostre Dolomiti, senza troppo soffrire nel confronto.
Ci sono andato con Paolo Marocco, Presidente della riserva di Cesana e siamo riusciti a pescare in tre tratti.
Il no-kill situato a circa dieci chilometri up-stream da Nevache, il tratto no-kill cittadino di Nevache e uno dei tratti a valle, appena poco prima che diventi la Durance.
Paolo in azione nella parte alta
Molto interessante il no-kill più a monte, con piacevoli trotelle rustiche, ma che, via via che ci avvicinavamo ai campeggi, diminuivano drasticamente. Abbiamo subito capito il motivo di quella rarefazione di catture, testimoniato anche dalla scoperta di alcuni pesci morti proprio in prossimità degli assembramenti umani. Infatti, quando li abbiamo superati, abbiamo ripreso con qualche bel salmerino, il piccolo principe delle acque a quelle latitudini.
L’ultima ora l’abbiamo dedicata al tratto basso, tra Plampinet e La Draye, completamente scartavetrato dall’alluvione: purtroppo il corso del fiume scorre dove non dovrebbe scorrere! Solamente un attacco di una minuscola trota sulla mia parachute ha rappresentato per me e Paolo la speranza che la natura si stia lentamente riprendendo.
Chicco fa rifornimento durante il tragitto
Il primo specchio d’acqua raggiunto è stato il lago Foiron, una lacrima d’acqua poco profonda, ma molto trasparente.
Si individuano le rade bollate
Fortunatamente un pesciolino, preso con un’emergente da Paolo, ha evitato il cappotto mattutino della spedizione.
Confesso che ci avrebbe profondamente seccati e mal disposti per il resto della gita!

L’arrivo in tarda mattinata di villeggianti e bambini, che senza pensarci un secondo, si sono tuffati in acqua, ha decretato la partenza verso la meta seguente, il Lago Nero.
Il lago Nero è un vero lago d’alta quota. Situato in una conca a oltre 2.000 metri d’altezza, le sue acque sono profonde e, grazie a estesi erbai dove i pesci trovano rifugio, le trote si nutrono tutto l’anno e raggiungono taglie interessanti.
Abbiamo quindi montato dei piccoli streamers, o delle sommersine, sostituendoli repentinamente a ogni bollata scorta in superficie, e la scelta è stata felice, regalando a ciascuno di noi delle belle trotelle selvatiche.
Chicco in azione
Paolo in allungo
Piccola goccia d’acqua sperduta nel bosco, quasi nata dalla brina delle montagne! A dispetto della sua modestissima estensione ha invece regalato tanti salmerini e fariotte ruspanti.
Comunque i confini sono indicati da cartelli posti in posizioni ben visibili.
Nella turistica, vige la regola di un prelievo di quattro pesci a ogni permesso, ma non sono cosi scontati, credetemi.
Il tratto no-kill, che costeggia il terreno demaniale degli Alpini, è molto comodo da percorrere e si può affrontare sia a secca che a ninfa...forse un pò corto, ma non si può chiedere troppo.
A questo proposito vi suggerisco caldamente di rilasciarli qualora li allamate nella zona catture, tanto li riconoscete immediatamente dalle pinne.
Un’encomio particolare va, oltre a Paolo, il Presidente, che ha tenacemente ottenuto le acque, ai due guardia pesca, Silvano Tournoud ed Enzo Blandino.
Uomini piacevoli, cordiali, sempre vigili e attenti.
Non vi conviene fare i furbi, perché ve li trovate sbucare dalla vegetazione e scomparire con la stessa facilità di Paul Hogan nel film “Crocodile Dundee”.

Da sin: Silvano Tournoud, Paolo Marocco ed Enzo Blandino
Mi piace esplorare acque sconosciute, ascoltare nuove storie del territorio, scoprire avamposti di civiltà.
La Val Susa, che oramai frequento assiduamente da un paio d’anni, è notoriamente una zona poco frequentata dai milanesi, e mi ha piacevolmente sorpreso per la sua storia, le sue tradizioni e le bellezze della sua terra. Come è mia abitudine negli articoli che scrivo, segnalo i siti che ho visitato con la famiglia, esortando chi è in zona, a fare altrettanto.
Chaberton, stiamo arrivando!
Essendo una terra di confine, la Val Susa è costellata da fortificazioni, rocche forti e castelli.
Forse il simbolo dell’intera valle è il Monte Chaberton, che con i suoi 3.131 metri è la fortezza più alta d’Europa, gigante tra le nuvole, con le sue otto torrette, o meglio, quel che ne è rimasto.
Il forte è rimasto mezzo secolo praticamente inattivo...ma è bastato un solo giorno di guerra, nel giugno del 1940, per renderlo una carcassa di pietra e ferro.
Bravo l’ingegnerino puntatore che da Briançon centrò sei torrette su otto, ma grande onore ai nostri nove artiglieri che morirono eroicamente senza abbandonare il loro posto sulle piazzole dei cannoni, pur sapendo di essere oramai dei facili bersagli per i mortai francesi.
Menomale che sono stati tutti decorati con la Medaglia al valore.
La vista dal suo culmine è mozzafiato. Va dal Monte Bianco al Monviso, con un ventaglio di 180° sull’Italia e uno uguale sulla Francia.
Le uniche raccomandazioni che mi permetto di farvi sono, la prima, di controllare bene le previsioni meteo. Bisogna avere un grande rispetto per le alte quote...sempre!
La seconda, se volete visitare anche la parte sotterranea, è necessario essere attrezzati e andarci con grande prudenza, possibilmente accompagnati.
La struttura è abbandonata ed esposta alle intemperie da decenni e non è stata più messa in sicurezza.
La visita ai sotterranei risulta, pertanto, pericolosa e un veloce sguardo dalle porte d’ingresso, secondo me, può bastare per capire le durissime condizioni di vita alle quali i nostri soldati erano sottoposti.

Quando sto per imboccare la Val Susa, l’apparizione improvvisa, sulla sinistra, di un minaccioso castello, dalle mura spesse e dai torrioni possenti, mi indica che sono “quasi” giunto a destinazione.
L’ho chiamato castello, perché ha tutta l’aria di un maniero impenetrabile, ma in realtà è un’abbazia antichissima, la Sacra di S.Michele, costruita da un facoltoso commerciante francese intorno all’anno mille.
Monumento simbolo del Piemonte e prima tappa in territorio italiano della via Francigena, dai suoi quasi mille metri di altitudine si domina tutta la Val Susa e la piana di Torino.
Il fatto di essere un sito dichiarato patrimonio dell’umanità spiega il grande interesse che suscita in migliaia di turisti che, ogni anno, si riversano nelle sue stradine anguste, ma ricche di fascino.
Per oltre tre secoli, Francesi e Savoia se lo sono conteso e portato via a vicenda, come in un macabro gioco di Risiko, fino al suo, come quasi sempre succede con questi giganti, smantellamento definitivo dopo l’8 settembre del 1943.
Che sia vera?
Anche se non lo fosse, è bello crederci.

Ci sono molti altri siti e gite interessanti nella valle, come l’abbazia di Novalesa, il forte di Fenestrelle, o una bella pedalata sul monte dell’Assietta, cosparso di batterie, baraccamenti e ridotte militari, oramai dei ruderi, strenuamente e vittoriosamente difese dai nostri Granatieri di Sardegna, numericamente inferiori alle forze d’invasione francesi, in una cruenta battaglia in quota del 1747.
E’ curioso ricordare che il Marchese di Montcalm, ferito, si salvò miracolosamente in quella terribile notte perché fu estratto dai corpi straziati dei suoi soldati.
Dieci anni dopo in Canada, durante la Guerra dei Sette Anni, si ricordò di quello che aveva visto e vissuto sul monte, e imitò il trinceramento alto circa tre metri che, come scrisse nel suo diario, “bloccò i migliori battaglioni del Re di Francia”.
Quello che aveva appreso sulle fortificazioni campali sabaude gli servì per sconfiggere gli inglesi del generale Abercromby, che disponeva di forze quattro volte superiori alle sue.
Ma sono già in agenda per la futura vacanza e non mancherò di mostrarvele nel prossimo articolo.
Ora vi lascio con questa notte stellata valsusina, magistralmente fermata dall’obbiettivo di Alo Belluscio.

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